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Tutti gli occhi puntati sull’enigma «Blazar»


SONO GALASSIE CON UN ATTIVISSIMO E LUMINOSISSIMO NUCLEO ATTIVO CHE FORSE NASCONDE UN DOPPIO BUCO NERO.

UN PROGETTO DI RICERCA SU SCALA MONDIALE

16/6/2004


La radioastronomia ha rivelato un nuovo universo. Si è scoperto che, tra le miriadi di galassie visibili nell'ottico, alcune di esse, una minoranza, sono forti emettitori radio: le radiogalassie. Anzi, si è scoperto un vero zoo di oggetti radio, tra cui sono di forte interesse i nuclei galattici attivi radio emittenti. I «blazar» sembrano essere una particolare manifestazione di nuclei galattici attivi, cioè di oggetti associati al nucleo della galassia che li ospita, di aspetto perlopiù puntiforme (come una stella) ma estremamente luminosi, anche molto più luminosi della galassia circostante che di stelle ne può contenere centinaia di miliardi. Che cosa fornisce una così straordinaria energia a oggetti che occupano uno spazio relativamente piccolo, presumibilmente dell'ordine di grandezza del nostro sistema solare? Una cosa sembra chiara: non può essere energia termonucleare, cioè del tipo che sostiene le stelle, perché sarebbe insufficiente. L'ipotesi più gradita è che si tratti di energia gravitazionale, immagazzinata in un enorme buco nero contenente una massa pari a quella di un miliardo di soli o giù di lì. Prima dell'avvento della radioastronomia, cioè prima di scoprire che erano anche radio emittenti, i pochi blazar allora conosciuti, cioè quelli relativamente vicini e quindi più brillanti, venivano spesso scambiati per "normali" stelle variabili della nostra galassia, mentre si trovavano a distanze enormemente maggiori e quindi avevano una luminosità intrinseca straordinariamente maggiore. Già, perché una delle caratteristiche fondamentali dei blazar è proprio la loro estrema variabilità, e non solo nella banda ottica e in quella radio, ma in tutte le bande conosciute. Alcuni nuclei galattici attivi, tra cui principalmente i blazar, emettono in tutte le bande conosciute, dal radio ai raggi gamma. Quindi per saperne di più li dobbiamo osservare in tutte le bande possibili. Non solo, dobbiamo anche osservarli in tutte le bande simultaneamente e ripetutamente nel tempo, proprio perché sono oggetti estremamente variabili. Si chiama monitoraggio multifrequenza. Più li monitoriamo e più accumuliamo informazione. Per capire di cosa sono fatti. Per capire come funzionano. Facciamo delle campagne. Cioè ci organizziamo per monitorare un certo blazar, magari quando presenta fasi di variabilità estrema, il più intensivamente possibile e nel maggior numero di bande possibili, coinvolgendo osservatori ottici e radio e il meglio dei satelliti in orbita, per un certo periodo di tempo. I satelliti non sono ovviamente disponibili a tempo pieno, dato il grande numero di ricerche astrofisiche a cui sono dedicati. Nei periodi a nostra disposizione però ci scateniamo con un intenso monitoraggio coordinato. Lo scopo principale è quello di costruire le curve di luce del blazar a tutte le frequenze osservate, nonché la sua "distribuzione di energia spettrale", cioè un grafico che rappresenta la quantità di radiazione per ogni frequenza, e vedere come questa distribuzione varia nel tempo. Il monitoraggio, oltre che intenso, cioè tante osservazioni a breve distanza temporale (tipicamente pochi minuti), deve essere ovviamente anche continuo nel tempo, il che significa giorno e notte, e qui cominciano i guai. Infatti, mentre per il satellite il problema è relativo in quanto fuori dall'atmosfera il cielo è sempre buio e l'osservazione viene interrotta solo se la Terra si frappone tra il satellite e la sorgente di radiazione, le osservazioni ottiche da terra devono fare i conti sia con la luce del giorno sia con la rotazione terrestre. Cioè il nostro blazar sarà visibile nel cielo notturno solo per una frazione della notte o al più per l'intera notte nei casi più fortunati, cioè quando sorge ad est al calar del sole e tramonta a ovest al sorgere del sole, o giù di lì, cioè quando è in opposizione al sole, oppure se è una sorgente di alta declinazione (considerando che siamo nell'emisfero nord) che tramonta per poco tempo o non tramonta del tutto. Solo un telescopio situato oltre il circolo polare può fare un monitoraggio continuo 24 ore su 24, ma solo per poche sorgenti e solo alcuni mesi l'anno. Per le osservazioni radio la situazione è un po' diversa, perché nella banda radio il cielo è sempre "buio", basta non puntare troppo vicino al sole. E quindi l'unico problema che rimane è quello della rotazione terrestre. Allora la soluzione per le osservazioni da terra è una sola: usare tanti telescopi a longitudini diverse, che "entrino", grazie alla rotazione terrestre, successivamente nel cielo notturno e che in successione si diano il cambio a monitorare la sorgente. In altre parole, il compito osservativo si sposta sulla superficie terrestre da est verso ovest al ruotare della Terra. Una tale rete di telescopi ottici (e in minor numero radio) esiste dal 1997. Si chiama WEBT, Whole Earth Blazar Telescope (Telescopio Blazar sulla Terra Intera). Dopo un periodo di rodaggio, ha cominciato a funzionare splendidamente nel 2000, in occasione della campagna multifrequenza su BL Lacertae (uno dei blazar più famosi) denominata BL Lac 2000, che durò dal maggio 2000 al gennaio 2001, con un totale di quasi 16000 osservazioni della sorgente. Altre campagne sono seguite e in tutto oggi se ne contano tredici, più o meno interessanti ed estese nel tempo. I telescopi partecipanti sono stati più di trenta, sparsi su tutta la superficie terrestre, dal Giappone, attraverso l'Asia e l'Europa, alle Isole Canarie e all'America settentrionale fino al Pacifico e alle Isole Hawaii, quasi a chiudere il cerchio. Ma soprattutto oggi possiamo dire che questo enorme sforzo osservativo sta dando i suoi frutti. Adesso ne sappiamo un po' di più. Qualche risposta comincia a farsi più chiara, anche se ogni nuova risposta può implicare dieci nuove domande. Per concludere, ecco un'ultima curiosità. Alcuni anni or sono, in un paio di articoli scientifici, affermammo che probabilmente alla base del fenomeno dei nuclei galattici attivi c'era non un buco nero, ma un sistema binario di buchi neri rotanti attorno al loro centro di massa. Le prove osservative a favore di questa ipotesi sono in aumento. La dialettica tra ipotesi teoriche e lavoro sperimentale rappresenta uno dei meccanismi fondamentali della ricerca scientifica.

[TSCOPY](*)WEBT President Osservatorio di Torino [/TSCOPY]
Massimo Villata (*)

http://www.lastampa.it/_settimanali/tst/estrattore/tutto_scienze/art.asp

 

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