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Comunicato stampa INAF-ASI

 
 

Lo strumento LFI è pronto!

Verrà integrato sul satellite europeo Planck. Nel team che lo ha ideato c'è anche George Smoot, Nobel 2006 per la Fisica

 
     
 

Lo strumento LFI del satellite europeo Planck,  letteralmente “Low Frequency Instrument - strumento a bassa frequenza”,  è il più sensibile ricevitore radio mai realizzato per studiare la radiazione cosmica di fondo e tracciarne una mappa dettagliata. Il progetto è stato realizzato da un consorzio di nazioni e agenzie spaziali guidato da Nazzareno Mandolesi,  dell'INAF,  con il coordinamento e il  finanziamento dall'Agenzia Spaziale Italiana. Proposto all'ESA (Agenzia Spaziale Europea) sin dal 1993,  subito dopo i primi risultati di COBE,  LFI è pronto e verrà consegnato tra pochi  giorni a Milano,  dopo una complessa sequenza di test e collaudi durata parecchi mesi. Dall'Italia,  LFI raggiungerà Cannes,  dove verrà  integrato,  insieme allo strumento francese HFI (“strumento ad alta frequenza”),  a bordo del satellite Planck. Per molti versi Planck è il successore evoluto dei satelliti WMAP e COBE,  ma rispetto a essi permetterà un'indagine assai più accurata e almeno dieci volte più dettagliata,  indispensabile per sciogliere alcuni dei maggiori interrogativi della cosmologia moderna e aprire gli orizzonti di una nuova Fisica: dall'evoluzione dell'Universo nei suoi primissimi istanti  all'origine della materia oscura e dell'energia oscura. Tra gli scienziati che hanno finora collaborato alla missione Planck c'è anche George Smoot,  vincitore del Premio Nobel per la Fisica 2006.

Il fondo a microonde è già stato studiato,  con successo,  da due importanti satelliti: WMAP e,  prima ancora,  COBE. Grazie ai risultati di COBE,  nei giorni scorsi gli americani John C. Mather e George F. Smoot hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisica. Planck è il successore di questi satelliti,  che ci hanno restituito una mappa a microonde dell'Universo nel primo momento in cui ha iniziato ad emettere radiazione elettromagnetica ed è quindi divenuto “visibile”. L’immagine dell’Universo in quegli istanti iniziali,  lontani da noi poco meno di 14 miliardi di anni,  ci mostra una radiazione sostanzialmente omogenea alla temperatura di circa 270 gradi sotto zero. Man mano che aumenta la sensibilità degli strumenti di osservazione,  però,  appaiono nelle mappe piccole regioni con minuscole differenze di temperatura rispetto a quanto le circonda,  appena qualche milionesimo di grado,  già esistenti nell’Universo primordiale. I cosmologi chiamano queste zone “anisotropie”,  e pensano che possano rappresentare i "semi" di quello che poi sarebbero diventati gli ammassi di galassie,  le galassie,  e tutte le altre grandi strutture esistenti nell'Universo. Planck riuscirà a fare qualcosa che i satelliti precedenti non potevano fare,  ovvero “guardare dentro” questi semi studiandoli con un'accuratezza almeno dieci volte superiore,  una migliore risoluzione angolare,  su una banda di frequenze più estesa e con due strumenti che adottano tecnologie radicalmente diverse (LFI,  lo strumento a guida italiana,  misura la radiazione con i radiometri; lo strumento HFI utilizza,  invece,  bolometri). Grazie all’uso di entrambe le tecnologie si effettuerà così un controllo assai più stringente sulla validità dei risultati e riusciranno ad estrarre con accuratezza il debolissimo segnale cosmico annegato nel rumore sia strumentale sia astrofisico. Inoltre,  Planck consentirà di misurare la cosiddetta polarizzazione,  ovvero l’orientamento,  della radiazione primordiale. Una misura che i cosmologi di tutto il mondo attendono per sciogliere gli interrogativi seguiti alle scoperte di COBE e WMAP.«Planck guarderà fino quasi ai confini estremi del tempo»,  spiega Nazzareno Mandolesi,  direttore dell’INAF-IASF di Bologna e responsabile del consorzio internazionale che ha realizzato lo strumento LFI,  «per cogliere la prima istantanea possibile dell’Universo: quella “scattata” 350.000 anni dopo il Big Bang,  quando l’Universo divenne “trasparente”. E dunque,  per la prima volta,  osservabile». Per Simonetta Di Pippo,  responsabile dell’Unità Osservazione dell’Universo di ASI,  «La partecipazione italiana alla missione Planck,  che consiste anche in un importante contributo all’altro strumento del satellite,  è al momento il più importante investimento dell’Agenzia nel settore della cosmologia. Questa linea programmatica comprende anche la partecipazione al satellite Herschel e i voli di strumenti da palloni stratosferico e tende a valorizzare l’eccellenza acquisita dalla comunità scientifica e industriale italiana nel settore per rendere possibile in futuro la realizzazione di una missione a leadership italiana».

Per vincere questa sfida scientifica,  la costruzione di Planck ha richiesto il superamento di problemi tecnologici estremi,  dalla realizzazione di un sistema di raffreddamento,  pensato per lo spazio,  in grado di raggiungere temperature vicine allo zero assoluto allo sviluppo di amplificatori a bassissimo livello di rumore. LFI,  alla cui realizzazione hanno contribuito Istituti di ricerca e Università di otto Paesi europei e degli Stati Uniti,  è fortemente “italiano”: finanziato al 50% dall’ ASI,  l’Agenzia Spaziale Italiana,  co-finanziato dall’INAF,  Istituto Nazionale di Astrofisica e integrato a Milano dall'Alcatel Alenia Spazio. Il lancio di Planck avverrà nel 2008,  con un razzo Ariane V,  dalla base spaziale dell'ESA di Kourou,  nella Guyana Francese.Se aiutarci a comprendere sempre meglio l’Universo e le sue leggi fisiche è lo scopo principale di Planck, importanti anche le possibili ricadute tecnologiche. Per raggiungere la straordinaria sensibilità richiesta ai suoi strumenti,  unici al mondo,  si è reso necessario sviluppare tecnologie d’avanguardia in numerosi campi: dall’ottica all’elettronica,  dalle scienze dei materiali alla criogenia. Progressi che,  anche quando Planck sarà lassù in orbita,  continueranno ad avere un futuro qui sulla Terra. Per informazioni: Nazzareno Mandolesi,  Principal Investigator dello strumento LFI ,  cell. 335 6507026

 
     
 

Data: 6 novembre 2006

Autore: Comunicato congiunto INAF-ASI

 

 

 
 

 
 

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