A Pavia l’ultimo «viaggio» dell’odissea di Colombo

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Il rettore dell’Università: decisi a collaborare per scoprire le sue origini Ma l’esame sui resti è rischioso. Da Granada: tra 2 mesi la nostra risposta

 

 

 
PAVIA - In una piccola teca piramidale, chiusa nella cassaforte della Biblioteca universitaria di Pavia, tra libri, pratiche e documenti, riposa Cristoforo Colombo. O, almeno, ha trovato accoglienza una parte dei suoi resti. Qualche piccolissimo frammento di osso. Ma fa una certa impressione pensare che lì, sulla scrivania della direttrice della biblioteca Anna Maria Campanini Stella, si trovi «qualcosa» dell’uomo che ha cambiato la storia del mondo. Un qualcosa che potrebbe rivelare, se sottoposto all’esame del Dna antico, alcuni misteri della vita di Colombo. Di sicuro c’è che di pochi personaggi storici si è discusso tanto come sullo scopritore delle Americhe. Genovese o spagnolo, figlio di un commerciante di lana o di un principe (e qualcuno dice di papa Innocenzo VIII), uomo incolto o istruito proprio grazie alle lezioni seguite all’Ateneo pavese, sepolto a Siviglia o a Santo Domingo (e da qui arrivato a Pavia): una vita (e una morte) tutta avvolta nel mistero. Le ossa di Pavia potrebbero aiutare a risolvere parte del giallo, sempre che siano del vero Colombo. «Ma attenzione - frena il rettore dell’Università di Pavia, Roberto Schmid - l’esame su un frammento così esiguo porterebbe alla distruzione dell’osso: perciò non possiamo certo prenderci la responsabilità di perdere un bene così grande. Eventualmente dovrà essere la Sovrintendenza a pronunciarsi. E comunque sarà necessario chiarire bene gli scopi della ricerca: bisogna essere sicuri che da questi confronti di Dna si possano trarre conclusioni importanti, cosa non certa». Un primo scopo dell’esame sarebbe scoprire se i veri resti di Colombo sono quelli conservati a Pavia (come hanno sostenuto per la verità gli storici più autorevoli, tra cui il senatore Paolo Emilio Taviani, ora scomparso) o quelli che si trovano nella Cattedrale di Siviglia. Per saperlo bisognerebbe confrontarli entrambi con quelli di Diego, fratello minore di Cristoforo. Anche per questo l’Università di Granada, che ha avviato nel 2002 uno studio analogo sui suoi resti, ha chiesto la collaborazione all’Ateneo di Pavia. «Siamo favorevoli a dare un appoggio scientifico; intanto aspettiamo l’esito degli studi di Granada» continua il rettore Schmid. E non bisognerà attendere molto: «Dovremmo essere in grado di dare le prime risposte tra due o tre mesi» spiega José Antonio Lorente, direttore del Laboratorio di identificazione genetica di Granada.


IL PRIMO MISTERO: LA NASCITA - In realtà le ricerche spagnole sono mosse anche dal desiderio di scippare a Genova il più illustre dei suoi figli: si vuole confermare la tesi che crede che Colombo sia nato in Spagna da Margalida Colón e il principe di Viana (che quindi dovrebbe essere riesumato per essere sottoposto all’esame del Dna). Una tesi bocciata dalla maggior parte degli storici (Taviani compreso) perché in quasi tutti i documenti si parla del «genovese Cristoforo Colombo».


STUDENTE A PAVIA? - Ma perché le ossa di Colombo sono custodite a Pavia? «Perché fino all’Ottocento si credeva che Colombo fosse stato uno studente dell’Università di Pavia, come riferisce il figlio Ferdinando - continua il rettore Schmid -. In realtà, a parte il testo del figlio e di un altro studioso che lo riprende, nessun documento prova questa circostanza. Onestamente, non lo possiamo dimostrare: può darsi che Colombo fosse a Pavia a studiare in altre istituzioni e non all’Università, oppure che si tratti del vicolo Pavia, a Genova. Certo Colombo conosceva la geografia e la cosmologia, ma la sua potrebbe essere l’istruzione di un autodidatta che ha cominciato a viaggiare a 14 anni». In realtà della permanenza a Pavia «non si trova cenno né nella biografia di Colombo, né in un libro sul Nuovo Mondo scritto da un docente dell’epoca dell’Università, tal Nicolò Scillacio, né nei rotoli dell’Ateneo», spiega la direttrice della Biblioteca. «Probabilmente il figlio Ferdinando voleva nobilitare le origini del padre, e ci fa piacere che per farlo abbia scelto Pavia, e non l’Università di Bologna», scherza Schmid. Fatto sta che, anche se sulla base di una convinzione sbagliata, i resti arrivano a Pavia nel 1880 consegnati dal nunzio apostolico alla biblioteca della Regia Università. Per festeggiare l’evento, si erige anche un monumento a Colombo, ancora presente in uno dei cortili dell’Università.


I VIAGGI DOPO LA MORTE - Viaggiatore indefesso in vita, Cristoforo non ha trovato un attimo di pace neanche dopo morto. Condannato a viaggiare. Colombo muore a Valladolid nel 1506. Nel 1509 viene trasportato a Siviglia nel Monastero di Santa Maria Las Cuevas. Ma la famiglia si adopera per trasportarlo a Santo Domingo, come lo scopritore aveva sempre desiderato. Il trasferimento avviene tra il 1537 e il 1559. Qui, insieme con quelli del figlio Diego, i resti di Colombo restano fino al 1795: quando l’isola di Santo Domingo passa ai francesi, quelli che si credono i resti di Colombo vengono portati nella cattedrale de L’Avana. Ma ancora una volta la Storia non dà pace al viaggiatore: nel 1898 l’isola di Cuba è occupata dagli Stati Uniti e le spoglie vengono trasportate a Siviglia. Intanto, però, nel 1877, a Santo Domingo, mentre sono in corso i lavori di restauro della cattedrale, si scopre una cassa con dei resti umani. Sul coperchio c’è la scritta «Cristobal Colon». Colpo di scena. Ma allora di chi sono le spoglie ormai arrivate a Siviglia? Per gli storici (ma non per gli spagnoli) sono quelle del figlio Diego. Da Santo Domingo, alcune ossa partono per Pavia e altre per Genova dove furono consegnate alla Città e al console Luigi Cambiaso: e una parte di Colombo oggi si trova nel salotto di casa di un discendente di Cambiaso.

 

 
AGGIORNAMENTO 16-03-2006  

Data: gennaio 2004

Autore: Arianna Ravelli

Fonte: Corriere della Sera - Lombardia

 

 

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