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La vita, ma non come la conosciamo

di Henry Gee

La vita sulla terra è sorta presto. Il nostro pianeta si è formato circa 4.500 milioni di anni fa. 3.800 milioni di anni fa la vita si era già evoluta. La prova ci viene dalle tracce chimiche nelle rocce di quest’epoca scoperte in Groenlandia. L’intervallo di 700 milioni di anni tra i due eventi può sembrare esagerato, ma si tratta del limite massimo. I ricercatori iniziano a sospettare che, se la vita si è evoluta sulla Terra, è probabile che si sia evoluta in tempi assai più rapidi di questi. Perché?

Prima di tutto, la Terra anticamente non era un posto tranquillo. Per le prime centinaia di milioni di anni della sua esistenza, il nostro pianeta era gravato da impatti immensi, al punto che, al confronto, l’impatto della fine del Cretaceo, 65 milioni di anni fa (che si ritiene abbia spazzato via i dinosauri) sembrerebbe distruttivo come una carezza delicata con una foglia di lattuga vecchia di una settimana. Per esempio, durante questo periodo si ritiene che la Terra sia stata colpita da un corpo delle dimensioni di Marte, che avrebbe espulso il materiale destinato a formare la Luna. Tali impatti avrebbero quasi certamente sterilizzato il pianeta, rendendo estremamente difficile immaginare che la vita potesse insediarsi per diverse centinaia di migliaia di anni dopo la formazione della Terra.

In secondo luogo, le rocce della Groenlandia che recano le più antiche tracce di vita conosciute, sono tra le più antiche rocce conosciute, di qualsiasi genere, sopravvissute fino ai nostri giorni. Ciò significa che se si scoprissero rocce più antiche, anch’esse potrebbero contenere tracce di vita. In altre parole, non abbiamo alcuna attestazione geologica diretta che vi sia stato un periodo, nella storia della Terra, in cui la vita fosse completamente assente.

Entro i 3.500 milioni di anni fa la vita era ormai stabilmente insediata. Lo sappiamo perché negli anni Ottanta J. William Schopf, dell’Università di California, Los Angeles, ha scoperto organismi microscopici fossili in rocce vecchie di 3.500 milioni di anni provenienti da Apex Chert, in Australia occidentale. Questi organismi erano i cosiddetti “cianobatteri”, che vivono in grandi comunità e producono strutture di sedimenti stratificati chiamati «stromatoliti». Le prime alghe marine erano fatte di stromatoliti, e restarono un elemento caratteristico dell’ambiente marino fino alla comparsa di animali in grado di pascolare su questi allettanti tappeti di limo batterico.

I fossili di Apex Chert aprono una finestra su una comunità di organismi viventi nel periodo più antico dell’era archeana (convenzionalmente indicata tra i 4.000 e i 2.500 anni fa). Ma se i ritrovamenti di Apex Chert hanno fatto luce sulle prime forme di vita affioranti sulla superficie del mare, il recente annuncio fatto da Birger Rasmussen sull’esistenza di microfossili filamentosi associati con un sistema di sbocchi idrotermici solleva la possibilità che, all’incirca nella stessa epoca, esistessero forme di vita nelle profondità oceaniche. Sembra quindi che prima dell’inizio dell’era archeana la vita avesse già lasciato il proprio segno in numerosi ambienti diversi, sollevando, ancora una volta, la questione della rapidità della sua comparsa ed evoluzione.

E qui emerge un altro rompicapo. Il mondo archeano erano molto diverso da quello di oggi – l’atmosfera, per esempio, conteneva pochissimo ossigeno – ma i cianobatteri di Apex Chert erano assai simili alle specie di cianobatteri viventi oggi, il che fa pensare che i cianobatteri evolvano con estrema lentezza. Ciò solleva un ulteriore dilemma: se i cianobatteri sono cambiati pochissimo in 3.500 milioni di anni, come hanno fatto a evolversi con tanta rapidità nei precedenti 700 milioni? Per quanto microscopici, i cianobatteri sono fatti di cellule e hanno una biochimica altrettanto sofisticata di qualsiasi altra forma di vita. Come hanno potuto evolversi da un semplice composto chimico in un tempo tanto breve?

Queste domande inducono i ricercatori interessati all’origine della vita a dare un altro sguardo a una ipotesi considerata di solito pazzesca: che la vita si sia evoluta altrove nell’universo e sia arrivata sulla Terra dallo spazio. Ora stanno iniziando a mettere alla prova sperimentale questa idea. I ricercatori della Nasa hanno lanciato in alcune navicelle spaziali delle culture batteriche, per mettere alla prova la loro resistenza al vuoto e alle radiazioni pesanti. Sorprendentemente, alcuni batteri capaci di proteggersi con spore resistenti possono germinare dopo molti mesi di esposizione allo spazio profondo. Questo fatto, unito all’ipotesi sempre più convincente che i batteri possano sopravvivere a lungo sepolti nelle rocce – forse anche per milioni di anni – fa pensare che la materia organica sia resistentissima, e che possa, in linea di principio, essere trasportata da pianeta a pianeta.

L’altra linea ipotetica si fonda su asteroidi e comete. Questi possono contenere quantità considerevoli di molecole organiche complesse, come gli aminoacidi. Gli oceani primordiali della Terra avrebbero potuto essere pieni d’acqua proveniente dagli impatti cometari. È possibile che tali impatti abbiamo portato con sé gli ingredienti della vita, magari già pienamente formata? Sarebbe allora possibile che la vita non sia nata nella pozza calda immaginata da Charles Darwin o nei soffioni idrotermici delle profondità marine, ma in un luogo completamente diverso. Il problema principale dell’idea di un’origine extraterrestre della vita è però il fatto che non risolve l’enigma dell’origine della vita, ma semplicemente sposta il problema in un luogo diverso.

Fonte: Boiler

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