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Quando il poeta esce a guardare le stelle
di MARGHERITA HACK

 

Di tutte le scienze l’astronomia è probabilmente quella che più ha ispirato e ispira tanto i più grandi poeti, del passato e di oggi, che gli innumerevoli poeti dilettanti. Questo perché il cielo è sotto gli occhi di tutti, e un cielo stellato in una notte buia dà veramente la sensazione dell’infinito. Possiamo immaginare la curiosità e forse la venerazione o lo spavento che potevano provocare tutti quei puntini luminosi che comparivano ogni notte a formare le stesse configurazioni, e che anticipavano o ritardavano il loro apparire nel corso dell’anno. Per molti popoli antichi le stelle erano divinità, o in qualche modo era ad esse che venivano collegate. Oggi proviamo ancora meraviglia nel guardare le stelle, ma è una meraviglia completamente diversa, piena di orgoglio. Da poco più di un secolo abbiamo imparato ad analizzarne la luce e a leggere i messaggi che vi sono contenuti. Abbiamo capito che le stelle sono globi gassosi formatisi sotto l’azione della gravità e che brillano grazie alle reazioni nucleari del loro interno, reazioni che col tempo ne modificano la struttura provocandone l’«invecchiamento» e la «morte». Sappiamo misurarne la distanza da noi e i moti nello spazio. In conclusione, delle stelle sappiamo tutto o quasi, e la meraviglia è che da quel minuscolo puntino luminoso a centinaia o migliaia di anni luce da noi abbiamo potuto ricavare una così grande messe di informazioni.
E’ un cielo che gli scienziati conoscono sempre meglio e che invece la popolazione va dimenticando, perché le nostre città superilluminate cancellano la volta celeste. Quando il cittadino comune si ritrova in montagna, in una notte senza luna, riscopre lo straordinario scenario offerto dalla Via Lattea e dallo scintillio di migliaia di stelle. Le immagini della Terra ottenute dai satelliti ci mostrano un’Europa cosparsa di luci che ci privano dello spettacolo del cielo notturno, dichiarato «Bene comune dell’Umanità». Un bene da salvaguardare, lasciando almeno qualche luogo immerso nell’oscurità, dove le nuove generazioni possano riappropriarsi di un grande spettacolo che appartiene a tutti.
Ma quanti poeti ci hanno parlato del cielo, fin dai tempi più remoti? Impossibile ricordarli tutti. Penso alla tristezza di Saffo, che in una fredda notte invernale, quando le Pleiadi sono alte nei nostri cieli mediterranei, esclama «e io giaccio sola». Penso alla elaborata cosmogonia di Dante, che suggella ogni cantica della Divina Commedia con la parola «stelle»: «E quindi uscimmo a riveder le stelle»; «puro e disposto a salire a le stelle»; «l’amor che muove il sole e le altre stelle». Ma chi forse ne ha più sentito il fascino è Leopardi. Appena quindicenne scrive una Storia dell’Astronomia in cui afferma: «La più sublime, la più nobile fra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo si innalza per mezzo di essa come al disopra di se medesimo...». Una fascinazione che si esprime poi nei suoi Canti, primo fra tutti Alla luna : «O graziosa luna, io mi rammento / che, or volge l’anno, sovra questo colle / io venia pien d’angoscia a rimirarti: / e tu pendevi allor su quella selva / siccome or fai, che tutta la rischiari». E ancora, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia : «Che fai tu, Luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa Luna?». E nelle Ricordanze : «Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea / tornare ancor per uso a contemplarvi / sul paterno giardino scintillanti...».
Un altro esempio di stretto connubio fra poesia e astronomia è quello offerto da uno scrittore come Bertolt Brecht, e da uno scienziato come Galileo. La vita di Galileo, il dramma di essere costretto ad abiurare idee e scoperte per paura della tortura e la disperazione per aver mancato alla propria missione, sono profondamente sentiti da Brecht, che scrisse una prima versione del suo Leben des Galilei nel 1943, quando il nazismo imperava in Germania. E lo scienziato descrive le interpretazioni delle sue osservazioni astronomiche in modo tale da renderle non soltanto discussioni scientifiche, ma veri e propri pezzi di letteratura.
Nella nostra epoca elettronica ed informatica tutti possono ammirare su Internet le straordinarie immagini di nebulose e galassie ottenute sia dallo spazio che da terra; immagini che ispirano tanti artisti moderni, così come in passato il cielo aveva ispirato i loro antenati. Sulle pareti della Cappella degli Scrovegni a Padova è ritratta una cometa, quasi certamente quella di Halley (il cui passaggio in prossimità della Terra era avvenuto proprio intorno al 1301, anno in cui Giotto realizzava il suo affresco). Un famoso quadro di Van Gogh mostra un cielo notturno con stelle simili a grosse macchie luminose: fantasia di artista, o forse miopia, che faceva vedere al pittore quei puntini come sfocati. Oppure era il vento che spesso soffia sulle coste olandesi ad aver prodotto una fortissima turbolenza, e l’oceano d’aria perennemente agitato che ci sovrasta sfocava le immagini delle stelle.
Gli argomenti scientifici che più ci appassionano e incuriosiscono riguardano soprattutto due generi di domande: siamo soli nell’universo? Esistono altre civiltà su altri pianeti, orbitanti attorno ad altre stelle? Potremo mai incontrarli e comunicare con loro? E ancora: l’universo è finto o infinito? Come è cominciato, se è cominciato? Come finirà, se mai finirà? Sono domande che ispirano famosi scrittori di fantascienza e un incredibile numero di dilettanti. Alla prima serie hanno tentato di rispondere filosofi, scrittori, scienziati. Talete di Mileto pensava che gli astri fossero fatti della stessa materia della Terra; e non sbagliava, perché oggi sappiamo che gli stessi elementi che troviamo sul nostro pianeta sono presenti nelle stelle, e che addirittura sono queste ultime a «costruire» tutti gli elementi presenti nell’universo - elementi che poi, sparpagliati nello spazio nelle fasi finali esplosive degli astri più luminosi, formano i pianeti e i corpi dei loro abitanti, i nostri stessi corpi. Anassagora riteneva che la Luna fosse abitata e che i semi della vita fossero diffusi per tutto l’universo. Epicuro credeva all’esistenza di infiniti mondi. Giordano Bruno scrisse: «Esistono innumerevoli soli, innumerevoli terre ruotano attorno a questi similmente a come i sette pianeti ruotano attorno al nostro sole. Questi mondi sono abitati da esseri viventi». Per questi pensieri eretici Bruno fu mandato al rogo il 17 febbraio 1600.
Oggi sappiamo che la prima parte della sua affermazione è scientificamente provata. Le stelle sono tanti soli e attorno a molte di esse abbiamo scoperto la presenza di pianeti. E’ probabile che fra le centinaia di miliardi di stelle che popolano la nostra Via Lattea, e fra le centinaia di miliardi di galassie sparse nell’universo, esistano numerosi pianeti con condizioni favorevoli allo sviluppo della vita, ed è probabile che quanto è successo sulla Terra sia accaduto anche in molti altri luoghi. Ma le distanze sono tali che forse mai potremo verificare l’esistenza di altri esseri. Per il momento sarebbe già un grande successo trovare batteri fossilizzati, o magari viventi, sul nostro vicino pianeta Marte.

Fonte: Corriere della Sera